La figlia di Iorio - il FILM: LA FIGLIA DI IORIO

Diretto da Mario A. Di Iorio

Tratto integralmente dall'Opera Teatrale "La figlia Di Iorio"
di Gabriele D'Annunzio

interpretato da
ELENA DE RITIS
Mila di Codra

DANILO PROIA
Aligi

IGEA SONNI
Candia della Leonessa

BRUNO BOSCHI
Il santo dei monti

GIUSEPPE BISOGNO
Lazaro di Roio

FRANCESCA PERSICO
Ornella

SABRINA SCUCCIMARRA
Favetta

ILARIA CAPPELLUTI
Splendore

PATRIZIA DI FULVIO
Anna Onna

GIULIA BASEL
Teodula Di Cinzio

ANNAPAOLA VELLACCIO
Monica della Cogna

MARIAPIA DI DOMENICO
Maria di Giave

STEFANIA TRAINI
Anna di Bova

ANNARITA PIERDOMENICO
Maria Cora

RENATA DA SILVA ARAUJO
La Catalana delle Tre Bisacce

ANA LAZA
Vienda

con la partecipazione amichevole di
MILO VALLONE
Primo pastore

SILVANO TORRIERI
Primo mietitore

GIAMPIERO MANCINI
Secondo mietitore

Altri interpreti e collaboratori

e con:

Ezio Budini - Iona di Midia

Luca Lucani - Secondo pastore

Gianluca Viola - Femo dell’Eta

Gianluca Castellano - L’invasato

Berto De Benedictis - Mietitore

Dario De Remigis - Pastore

Valentina Capone

Valeria Ferri

Anna Pieramico

Silvia Stellabotte

Le lamentatrici

Emmanuele Cilli

Daniel Chiacchiaretta

Alessio Di Francescantonio

Valerio Giordano

I Mietitori

Fonico presa diretta e mixer audio

Stefano Varini

Post-Produzione - Luxfero

Caposquadra Elettricisti

Giorgio Innocenzi

Caposquadra Macchinisti

Rocco Pacifico

Assistente operatore Simone Scarozza

Caposquadra Costruttori

Nicola Marchetti

Decoratore

Fabrizio Ciccarelli

Collaborazione ai costumi

Ornella Tiberii

Segretaria di produzione

Simona Novarco

Fotografo di scena

Massimo Camplone

Consulente dei gioielli

Adriana Gandolfi

Coreografo

Alberto Di Ciccio

Manager di Produzione Elvira Conte

Musiche Originali dirette dall’autore Angelo Valori

ed eseguite da M.Edit Ensemble

Diana Torto Voce

Ludovica Conti Violino

Giovanni Pantalone Oboe

Giovanni Alfani Chitarra

Renzo Ruggirei Fisarmonica

Maurizio Rolli Contrabbasso

Registrate

negli Studi ECamLab Pescara

Ingegnere del suono Stefano Ciccotelli

La Tragedia di Gabriele D'Annunzio

ATTO PRIMO

è la vigilia di San Giovanni e nella casa del ricco possidente Lazaro di Roio si stanno per celebrare le nozze del figlio Aligi con la bionda Vienda. Le sorelle di Aligi, Ornella Favetta e Splendore, guidate dalla madre Candia della Leonessa, allegramente vestono la promessa sposa e si preparano a ricevere la visita delle parenti che porteranno i doni. La casa è addobbata, come prescrivono i riti e le tradizioni, da numerosi simboli disposti a protezione della cerimonia e del futuro degli sposi.

Uno strano turbamento però agita Aligi, il quale ha avuto sogni infelici pieni di brutti presentimenti e la madre, che se ne accorge, lo interroga. Ma le risposte di Aligi non sono chiare. Gli sembra di aver dormito per settecento anni.

Candia dispone gli sposi su due seggiole per donare loro il pane benedetto. Celebrato il breve rito, si allontana per preparare la stanza nuziale. Vienda, emozionata, lascia cadere il pane. Ornella rapidamente recita la formula che dovrebbe neutralizzare quel terribile segno di sciagura.

Arrivano le donne del parentado e, proprio mentre Teodula di Cinzio sta spargendo il grano sul capo degli sposi, irrompe nella casa, correndo disperatamente e gridando terrorizzata, una giovane donna in cerca di aiuto e di salvezza.

è Mila di Codra, inseguita da una banda di mietitori che, ubriachi e imbestiati, vogliono violentarla. La giovane si precipita al focolare, simbolo dell’ospitalità e presidio delle fortune della casa. Ornella si rende conto della situazione e spranga la porta. Mila prega che la salvino.

Le parenti, denunciandola come la figlia del mago Iorio e impaurite dall’assedio che i mietitori hanno posto alla casa, istigano Candia a consegnare Mila.

I mietitori insistono per ottenere la donna e altro vino e rivelano che anche Lazaro di Roio è stato sedotto dalle grazie della Figlia di Iorio. Per lei si è battuto in duello ed è rimasto ferito.

Candia decide di scacciare l’intrusa e ordina ad Aligi di farlo. Il giovane impugna la mazza e, proprio mentre sta per colpire, ha una visione. Risparmia Mila, apre la porta e impone ai mietitori di rispettarla in nome dell’Angelo Muto che la protegge. In quel momento arriva Lazaro ferito. La sciagura si è veramente abbattuta sulla casa. Mila fugge, le donne piangono e pregano, lo sposalizio è rinviato.

ATTO SECONDO

Poco dopo l’equinozio autunnale, Aligi e Mila vivono in una grotta sui monti, dove il giovane ha ripreso a fare il pastore. Si amano ed Aligi sta scolpendo l’Angelo Muto che vuole portare come voto al Papa, per ottenere il permesso di sposare Mila. Chiede a Cosma, il santo visionario della montagna, se le sue speranze si avvereranno. Cosma risponde cripticamente, poi arrivano dei pastori a cercare Aligi perché li aiuti a recuperare una pecora.

Prima di andare via Aligi raccomanda a Mila di mettere ancora olio nella lampada votiva alla Madonna. Rimasta sola Mila, che non crede a un felice epilogo, pensa di abbandonare Aligi per salvarlo e restituirlo alla famiglia e alla sua normalità. Accortasi che la fiammella della lampada si sta per spegnere, Mila si precipita a prendere l’olio, ma è finito. Disperata chiede a una donna che è entrata in quel momento nella grotta un pò d'olio, ma dopo averlo ottenuto lo lascia cadere e la fiamma spira.

Ancora un segno di sciagura.

La donna è Ornella. è venuta ad implorare Mila di lasciare il fratello. Scoprendo che la Figlia di Iorio lo ha già deciso, diventano amiche e Ornella rivela che Lazaro, ormai guarito, la sta cercando. Mila decide di affrettarsi e congeda Ornella.

Prima di partire si fa dare da Anna Onna, la donna delle erbe, le radici che uccidono i lupi, pensa anche di togliersi la vita.

Arriva Lazaro e le sue intenzioni sono chiare. Mila si difende e torna Aligi. Il figlio implora il padre affinché desista. Lazaro chiama i suoi scagnozzi che legano Aligi e lo portano via.

Tra minacce e blandizie Lazaro cerca di sedurre Mila che temporeggia nella speranza che Ornella o qualcuno la possa salvare.

Lazaro si avventa su di lei per violentarla, irrompe Aligi che, afferrata l’ascia con la quale scolpiva l’Angelo, uccide il padre.

ATTO TERZO

Aligi è stato condannato a morte. Candia della Leonessa è diventata folle dal dolore. Le figlie la vegliano. Le lamentatrici vegliano il cadavere di Lazaro. La statua dell’Angelo Muto è in cima al rogo, per essere bruciata.

Il popolo è in attesa che arrivi il Giudice del Malificio, che conduce Aligi a ricevere dalla madre il consolo. Una mistura, una droga che, obnubilandolo, gli renderà meno terribile la punizione. Secondo la tradizione, gli verrà mozzata la mano destra, sarà cucito in un sacco con un cane mastino, e sarà gettato nel fiume.

La gente si chiede che fine ha fatto la Figlia di Iorio. Nessuno ha più visto Mila dal giorno del delitto.

Aligi, bevuta la mistura, si congeda pregando il padre morto di perdonarlo.

Irrompe Mila di Codra e rivela al popolo che è stata lei ad uccidere Lazaro, per antichi rancori. Figlia di Mago, con i suoi artifici, ha circuito fin dall’inizio Aligi, al punto da convincerlo di essere parricida. Ma ora lei, la Figlia di Iorio, pentita, non vuole lasciar morire un innocente. Non solo il popolo, ma anche Aligi, in preda alla droga, crede nella bugia che gli salverà la vita. Soltanto Ornella capisce il sacrificio di Mila e la benedice mentre la Figlia di Iorio si avvia al rogo nel quale troverà la morte.

Approfondimenti

Mentre Gabriele D’Annunzio scriveva con incredibile foga le parole preziose che avrebbero raccontato la tragica vicenda de La Figlia di Iorio, Eleonora Duse non era tranquilla. Intanto la salute, dopo le fatiche di una vita di viaggi, di lavoro e di sregolatezze, le dava più di un problema, poi sentiva, con la sensibilità della grande artista e della donna innamorata, che tra lei e Gabriele la parabola sentimentale declinava inesorabilmente. Anche se il poeta e amante le aveva promesso di scrivere proprio per lei la storia triste e la fine crudele di Mila di Codra, Eleonora Duse avvertiva un presentimento negativo. Del resto, il pescarese non l’aveva tradita già una volta quando, dopo una buona dose di promesse, aveva affidato a Sarah Bernhardt la parte di protagonista della versione francese della Ville morte?

Anche allora il loro amore traballava, tanto che dopo quella storia ci fu un significativo allontanamento che si ricompose con qualche fatica. Perché Gabriele sembrava, anzi era, tanto concentrato solo su se stesso, perché era così febbrile eppure così distante da lei, Eleonora, e dagli altri?

Le malinconiche profezie, le vibrazioni negative della Divina Duse, purtroppo per lei riguardanti la formazione del cast nella messa in scena teatrale della tragedia e la conclusione della loro relazione sentimentale, si sarebbero avverate di lì a poco, in meno di un anno. Ma, al presente, si sbagliava perché D’Annunzio non le era distante per chissà quali misteri d’amore. La verità era che lo scrittore era concentrato in maniera spasmodica sul suo lavoro.

L’unica donna che in quelle calde giornate, a partire dal diciotto luglio millenovecentotre, possedeva il cuore e la mente di D’Annunzio, era Mila di Codra, la figlia del mago. Erano quasi vent’anni che La Figlia di Iorio si era insediata di prepotenza nell’immaginazione del suo autore. Quando Francesco Paolo Michetti, il suo grande amico e mentore, aveva portato la sua monumentale tela a Venezia, alla Biennale del 1895 dove ebbe un successo strepitoso, D’Annunzio aveva scritto del quadro: “In una delle terre interne, alle falde della Maiella, dov’è ancora forte la impronta della razza originale e quasi immutato il costume antico, la Figlia di Iorio, colei che peccò per amore e che dal suo peccato è cinta di infamia e di fascino, passa pel sentiere della montagna, mentre seguono le irrisioni e i desideri degli uomini ozianti in varie attitudini sul ciglione sassoso”. Ovviamente in quel momento non sapeva ancora che avrebbe scritto la tragedia, e il suo intento era, forse, didascalico e anche, come diremmo oggi, di comunicazione. Infatti un po’ spiegava il quadro a chi lo avrebbe visto, un po’, con la sua popolarità di grande artista internazionale, ne aumentava lo spessore e la presa sul pubblico. Ma qualcosa sotto doveva già esserci - significative in modo particolare - del breve testo, sono le parole fascino e desiderio. Forse queste sono le fondamenta sulle quali costruirà l’edificio narrativo. Gabriele ha nella mente un’eroina giovane e sola contro tutti, che riesca a catalizzare su di sé i personaggi e gli avvenimenti, che infine perisca tragicamente, ma non da vittima, benché le apparenze sembrerebbero attestarlo, tragicamente da protagonista. Non ci fosse di mezzo la storia d’amore, e tutta la sensualità che ne consegue, verrebbe da pensare che D’Annunzio, da sempre appassionato estimatore della civiltà greca, nel costruire verso per verso, segno per segno, la sua Mila, abbia pensato più di una volta all'eroina delle eroine della tragedia classica. Al personaggio che, per tutto l’ottocento specialmente, da Shelley a Marx – tanto per citare due estremi – ha fatto vibrare di passione la cultura occidentale: Antigone. E azzardando un po’, forse, qualche altra analogia si può evidenziare. Intanto le giovanette portano un peso infinitamente superiore alle loro forze, una eredità nefasta che le rende particolari e soggette all’ostilità del contesto: la terribile discendenza paterna. Infatti una è figlia di Edipo - al quale il fato ha suggerito di distruggere l’ordine e l’armonia della città con l’omicidio del padre e la copula con la propria madre - l’altra è figlia di mago e assassino, colui che distribuisce mali e afflizioni. Poi, ambedue hanno il destino segnato da un vincolo insormontabile d’amore per un altro giovane, anche se sono amori di diversa natura. Antigone sfida l’ordine costituito per seppellire il fratello Polinice, Mila per potere amare il pastore Aligi.

Infine ambedue muoiono con lo stesso gesto orgoglioso.

Antigone avviandosi alla tomba che la racchiuderà, come grumo, nocciolo duro della coscienza dell'antica cultura occidentale; Mila alla fiamma del rogo che la disperderà come fumo, come leggenda moderna capace di incantare la nascente cultura di massa dello spettacolo.

E, soprattutto, le due creature vanno al sacrificio con la consapevolezza che la loro passione, così forte da sconvolgere l’ordine della legge e portare allo scoperto i limiti della tradizione, così profonda da attirare l’ostilità e l’incomprensione dei contemporanei, non possa avere altro confine che la morte. Il grande nulla che soltanto le storie straordinariamente raccontate possono attraversare (m.d. i.)

Mario A. Di Iorio